Il franchising in Italia

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Confimprese affronta l’attrattività del mercato italiano per i franchisor stranieri. Con uno studio condotto da Cesit-Università Federico II di Napoli.

«La ricerca evidenzia che il tessuto imprenditoriale italiano – spiega Marcello Martinez, Ordinario di organizzazione aziendale di Cesit-Università di Napoli – si mostra particolarmente adeguato allo sviluppo di reti di franchising, considerata anche la disponibilità di risorse finanziarie derivanti da risparmi familiari.

Allo stesso tempo, però, sotto molti aspetti la piccola imprenditorialità italiana non è pronta a recepire tout court una modello di business strutturato, per quanto questa sia stata già collaudata anche in altri Paesi.

L’imprenditore potenziale affiliato deve essere seguito in un percorso formativo e informativo, anche di base, che gli consenta non solo di conoscere appieno le specificità del contratto di franchising, ma anche di apprendere lingue, tecnicalità e l’uso di sistemi organizzativi indispensabili per una corretta gestione del modello cui ci si affilia».

Dalla ricerca emerge che l’Italia non è considerata un mercato difficile, pur con le sue peculiarità: la formula è congeniale al mercato italiano ma non ci sono ancora le condizioni culturali perchè possa performare al meglio. In particolare si segnala che gli imprenditori italiani potenziali franchisee appaiono più improvvisati e meno evoluti rispetto ai colleghi europei in termini di capacità organizzative e gestionali, mancano di ‘maturità organizzativa’.

Forti sono inoltre le differenze territoriali (e non solo tra nord e sud ma da città a città), il modello non si replica quindi in automatico, ma è necessaria da parte del franchisor un’attenta conoscenza del mercato locale. I franchisor stranieri lamentano che sia il sistema creditizio sia quello di incentivi per l’imprenditorialità non sono per motivi diversi ancora adeguati alle esigenze del franchising, ma non reputano che questo sia una discriminante rispetto alla decisione di svilupparsi in Italia.

«Resta il fatto, però – conclude Francesco Montuolo, vicepresidente Confimprese – che il franchising per esprimere al meglio le proprie potenzialità nel nostro Paese richiede che si sviluppi una maggiore conoscenza della formula e una crescente attenzione degli interlocutori istituzionali. Per questo motivo Confimprese, insieme alle altre Associazioni di categoria, ha richiesto ed ottenuto l’inserimento all’interno del decreto sviluppo dell’obbligo di dichiarare al REA l’utilizzo della formula franchising da parte di tutti gli operatori, siano essi franchisor che franchisee.

Questo risultato è un primo importante frutto del lavoro di rappresentanza delle istanze del settore che Confimprese intende portare avanti con sempre maggiore determinazione, nell’intento di conferire crescente credibilità al settore.

Solo se le istituzioni competenti percepiranno le potenzialità del franchising e si impegneranno, insieme alle associazioni di categoria, ad accrescere la cultura in materia, questo potrà sperare di trovare maggiore attenzione anche da parte del mondo imprenditoriale italiano.

L’auspicio è che questo lavoro di ricerca possa costituire un ulteriore contributo di Confimprese al consolidarsi di una cultura del franchising in Italia. Nel nostro Paese questa formula commerciale ha ancora molto spazio di crescita, basti pensare che i soli soci Confimprese nel 2012 apriranno circa 1.200 punti vendita in franchising».