A scuola di franchising
Parole come “collaborazione”, “etica”, “regole”, “condivisione” sono alla base del franchising.
Ma l’imprenditore medio italiano è davvero pronto a fare propri questi concetti?
Nell’Italia di oggi l’imprenditore è un essere libero, indipendente, creativo.
Certo! Libero di tenere i dipendenti in nero, indipendente dalle regole del mercato, creativo nel pagare le tasse.
È anche, di solito, un furbetto. Sa come farsi gli amici nella politica e nella burocrazia, si muove tra appalti truccati, tangenti e corruzione.
Il suo motto è: “una mano lava l’altra”. Per l’imprenditore italiano niente è come si vede o come è scritto. C’è sempre il modo di fare una “eccezione”, di estorcere uno sconto in più, una dilazione di pagamento, una condizione di favore.
Nella moderna concezione dell’imprenditoria nostrana il business è roba da pirati, dove tutto è lecito pur di fare soldi.
E così i dipendenti sono limoni da spremere, i fornitori sono stracci “usa e getta”, il rispetto degli impegni e delle regole è un’opinione, i clienti sono “polli da spennare”.
In questa economia da manicomio (i cui mirabolanti risultati sono sotto gli occhi di tutti…) il franchising, quello autentico intendiamoci, ci sta come i cavoli a merenda.
Eh, già, perché il franchising è fatto di collaborazione, di etica, di gioco di squadra, di regole, di standard qualitativi comuni, di successi condivisi.
Solo a sentire questi concetti, l’imprenditore nostrano si sente prigioniero dentro una gabbia…
La morale
La formula del franchising richiede un approccio imprenditoriale evoluto, aperto, consapevole, non sempre facile da reperire e applicare nel nostro sistema economico attuale.
dal Manuale del Frankenstein,
di Saverio Savelloni, ed. Fasullo