A scuola di franchising
Ancora una volta, a rischio di annoiare, è bene ricordare che il franchising non è facile guadagno, ma una realtà dove è indispensabile attitudine imprenditoriale.
Il franchising in Italia ha superato i 40 anni. È dunque un sistema ormai maturo, ma continua a trascinare con sé alcuni dei suoi difetti di gioventù.
Tra questi, c’è quello che definirei “sindrome del pioniere”. Chiunque si avvicina a questo mondo, da potenziale franchisor o da franchisee, pensa di essere lo scopritore di un nuovo giacimento aurifero e si comporta come tale.
Spesso infischiandosene della legge, delle regole del gioco, della lunga pratica di questa disciplina, si butta nella mischia e cerca di arraffare la sua pepita.
L’approccio dilettantesco di molti finisce per far pensare a tutti gli altri che il franchising sia una formula “facile” e per faciloni.
Questa costante sottovalutazione delle complessità del sistema fa più danni di un’epidemia, sia tra i franchisor che tra gli aspiranti franchisee.
In un decennio, su oltre 2.000 marchi che hanno provato a diventare franchisor in Italia, si conta solo qualche centinaio di sopravvissuti. Il bilancio degli aspiranti franchisee non è percentualmente meno impietoso.
Tanti provano “a pescare il jolly”, inventandosi imprenditori e pensando che basti l’aiuto di un franchisor per fare fronte alla scarsità di risorse economiche, alle proprie modeste capacità, a una imprenditorialità inesistente.
Ma l’economia del nostro Paese ha bisogno di franchisor seri e preparati, di franchisee capaci e con eccellenti attitudini imprenditoriali, di esperti qualificati che conoscano a fondo questa formula, così sofisticata e potente.
La morale
È ora che il franchising cresca e che si lasci alle spalle definitivamente i dilettanti allo sbaraglio, gli avventurieri, le mezze tacche.
dal Manuale del Frankenstein,
di Saverio Savelloni, ed. Fasullo