Una cattiva fama
Ho individuato un marchio di ristorazione che ritengo adatto alle mie esigenze. Mi propongono il franchising, ma questa formula, che conosco poco, ha una pessima fama e io non vorrei trovarmi intrappolato in un contratto-capestro. Ho chiesto se non è possibile avviare qualche altra forma di collaborazione, ma ho ricevuto un deciso diniego. Perché l’azienda non accetta la mia proposta? Non è un po’ sospetta questa rigidità?
L’atteggiamento un po’ prevenuto di questo lettore è purtroppo diffuso tra gli imprenditori italiani. Il retaggio di una trentina di anni di applicazione talvolta “pionieristica” del franchising non si cancella con una buona legge, come quella del 2004, né con qualche centinaio di iniziative vincenti. Tuttavia questa cattiva fama non ha niente a che vedere con il valore intrinseco della formula. Il sistema è eccellente, come dimostrano migliaia di reti diffuse a livello internazionale. Viene addirittura definito “win-win”, perché permette alle due parti di instaurare una collaborazione orientata obiettivi di successo comuni.
Una corretta applicazione della formula porta economie di scala, razionalizzazione, forza di gruppo, maggiore competitività. Il problema è soltanto quello di realizzare un accordo equilibrato e rispettoso delle parti. Non mancano infatti i buoni franchisor, il punto è saper selezionare quelli giusti ed essere in grado di valutare tutti gli aspetti di un progetto. La legge è chiara, le informative e le scritture contrattuali sono a disposizione dei candidati per almeno 30 giorni, più che sufficienti per effettuare un’attenta valutazione con l’aiuto di esperti. Inoltre la maturità della disciplina offre oggi concreti elementi per affrontare e superare serenamente ogni casistica. Queste considerazioni spiegano forse perché l’azienda citata dal lettore non intende accettare altre forme di collaborazione non meglio definite. Che cosa succederebbe in una rete se il franchisor fosse disposto a operare con accordi diversi da caso a caso? La risposta è nelle tante case history di insuccesso che hanno costellato l’evoluzione del franchising in Italia. Nessuna sospetta rigidità dunque, ma la consapevolezza di utilizzare la formula giusta, quella in grado di agevolare la sinergia con ciascun affiliato nell’ottica di uno sviluppo armonico all’interno di una rete.
In fase di valutazione è corretto mettere a confronto due franchisor dello stesso settore sulla base del costo del diritto d’entrata?
Assolutamente sbagliato. Il diritto d’entrata è il corrispettivo di numerosi apporti, di diversa natura. Si pagano la notorietà della marca, i servizi pre-apertura, la cessione d’uso del marchio, in qualche caso anche la formazione iniziale, il know-how, i manuali operativi, eventuali brevetti, software È sufficiente che uno o più di questi elementi sia qualitativamente o quantitativamente diverso tra i due progetti, per rendere del tutto inadeguato ogni tentativo di comparazione.
Vorrei aprire un’attività in franchising nel settore alimentare, ma non so nulla delle pratiche burocratiche che occorre svolgere né dell’attendibilità della proposta. Che tipo di consulente personale professionale devo trovare per essere affiancata?
A dire il vero, è la stessa azienda che dovrebbe aiutarla sia nella ricerca dei locali sia per ciò che concerne le pratiche burocratiche, le licenze, ecc, visto che quello che si compra con il franchising è proprio il know-how, ovvero “il sapere come fare”. Diverso è il discorso sulla valutazione del franchisor. Se lei non ha ancora deciso, le serve l’aiuto di un esperto di franchising. Può consultare l’albo esperti dell’Associazione italiana del franchising su www.assofranchising.it